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SERGIO BRIZZOLESI
scultore
Ugo Ronfani
(1991)
Il Pianeta Donna
"II meno che si possa chiedere ad una statua è di
restare ferma", ha scritto Salvador Dalì. Il pittore spagnolo è
stato un allegro, salutare dissacratore di luoghi comuni ma,nel caso
specifico, ha detto una controverità. Noi abbiamo il diritto di
chiedere ad una statua, se fatta a regola d'arte, di esprimere il
movimento, che è vita. Aveva torto anche un'altra figura del
surrealismo europeo, Pieyre de Mandargues, ad affermare che "non c'è
scultura che non faccia pensare all'idea della morte". E' invece
vero, credo, il contrario: sempreché una scultura sia opera d'arte,
essa esprime non l'inerzia e il nulla, ma il respiro stesso della
vita. Come diceva Majakovskij.
Questi aforismi mi sono tornati alla mente davanti alle opere più
recenti di Sergio Brizzolesi, presentate in questa mostra e che -
com'é facile constatare - rendono onore alla bellezza femminile. Un
discorso, questo di Brizzolesi, che continua nella coerenza: le sue
sculture - come ho avuto modo di dire in altra occasione -
ripropongono senza ripetizioni o cedimenti, col vigore di emozioni
convinte, archetipi classici dell'eterno femminino.
La figurazione praticata con felice immediatezza da Brizzolesi,
senza i rovelli cui soggiacciono artisti meno istintivi, non nasce
tanto da congetture teoriche, quanto da qualità innate. Cui si sono
aggiunte, beninteso, le esperienze di studio prima all'Istituto
d'Arte di Gazzola, nel Piacentino dov'egli è nato e lavora, e poi
all'Accademia di Brera a Milano. Mai, negli anni di formazione e
dopo, Brizzolesi ha inteso sacrificare una sua istintuale
originalità ai formalismi delle tendenze e delle mode, pago di
guardare alla grande tradizione italiana, quella rinascimentale in
specie, e - come dicevo - al "pianeta donna" come fonte prediletta
di ispirazione,quando la committenza non gli chiedeva di dedicarsi a
opere di impegno sacro o celebrativo, quelle che risultano dal suo
curriculum e che si trovano nella reggia di Rabat, nei giardini di
Caracas, nelle piazze italiane.
La sua autonomia creativa e, diciamo pure, la sua riluttanza a
militare in questo o quel movimento dell'arte del secolo ha indotto
Raffaele De Grada a scrivere che Brizzolesi "non è un figurativo di
opposizione ma, semplicemente, uno sculture figurativo". Con questa
tautologia soltanto apparente De Grada ha voluto affermare, per
l'appunto, che Brizzolesi crede meno ai manifesti di capricciose
avanguardie che ai canoni aurei della buona scultura di ogni tempo,
sia pure verificati nella realtà della nostra epoca.
Naturalità della realtà sensibile, impulsi lirici che muovono da una
sensualità cui non è estraneo il sentimento, nostalgia per le forme
arcaiche della bellezza che non ammettono codificazioni accademiche,
fiducia nella possibilità di riprodurre con la creta, il bronzo o la
pietra quella palpitante materia dei sogni che - diceva Shakespeare
- è la vita stessa: i critici che si sono interessati al suo lavoro
hanno così circoscritto il modo di scolpire di Bri zzolesi .
Le sue regine sono trasfigurazioni a largo spettro (vi leggiamo una
sensualità schietta, un'attenzione amorosa che non esclude l'ironia,
una curiosità tutta maschile per la natura del femminile) della
visione della donna nel mondo d'oggi, e tuttavia restituita alla
poesia e al mito. Come se Brizzolesi, scegliendo a modelli le donne
che possiamo incontrare oggi nelle nostre città, volesse scolpire
anche figure femminili della storia e dell'arte. Rappresentando la
donna con gli attributi di una venustà regale - voglio dire - egli
la sottrae ali'effimero, la colloca in una sorta di Eden dove le
forme resistono al tempo.
Non mi sembra un paradosso affermare che nelle loro raffigurazioni
da età dell'oro, quasi pagane, le Regine di Brizzolesi finiscono per
riproporre invece il motivo trovadorico della donna angelicata, e
sono in realtà la bronzea celebrazione di un dolce stil nuovo di
ritorno. Queste Regine ricevono la loro investitura non da
atteggiamenti femministi, ma dalla grazia e dalla bellezza che sanno
suscitare: capirà chi abbia letto L’amore in Occidente di Denis de
Rougemont .
Nelle ultime raffigurazioni del tema presentate in questa mostra
Brizzolesi ha saputo arricchire - mi pare - la sua esplorazione del
mondo femminile. Ha tratto nuova espressività dalle forme
archetipiche dalle quali ama prendere le mosse, ha dato varie
interpretazioni del tema ora levigando all'estremo corpi e volti ed
ora estraendoli per sintesi figurative dalla materia magmatica di
rinnovate metamorfosi.
E , ancora , ha contrapposto nello stesso soggetto arcaismi
raffigurati vi e tratti del costume e della moda contemporanei ,
senza rinunciare se del caso ad allusioni maliziose o ironiche. Di
queste contaminazioni espressive si trovano indicazioni anche nei
titoli delle opere esposte: Regine amiche, Regine sensuali, Regine
di fiori, di quadri e di denari, Regina del dubbio… Titoli che
indicano, talvolta, uno sconfinare del tema nel post-modern.
Più vibrante e più mossa , fermata in gesti quotidiani che pure
sottintendono i piccoli misteri del femminile, frantumata dai
capricci dell'immaginazione, avvolta nella conchiglia del sogno, la
donna di Brizzolesi appare oggi più enigmatica ed affascinante, più
vicina al destino che le assegnano i tempi.
Ma Regina, ancora e sempre. |
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