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SERGIO BRIZZOLESI
scultore
Carlo Francou
(La Libertà / Piacenza/ 1997)
Intervista all'artista piacentino
nella sua casa di Gropparello
«Oh Signur!. Sergio? Guardi... dovrebbe arrivare, mi ha telefonato
poco fa... sì, passerà qui da me... se vuole la faccio chiamare...»
A rispondere dall'altra parte del filo telefonico con tono cortese,
quasi materno, una signora che ha passato le novanta primavere
conservandosi attenta e lucidissima. Il Sergio in questione è lo
scultore Sergio Brizzolesi: per sua madre, da sempre, il suo Sergio.
Risalita la Valvezzeno fino a Gropparello non è difficile
raggiungere la casa dell'artista, tutti lo conoscono in paese. Una
volta giunti nella via poi la difficoltà nell'individuare
l'abitazione scompare immediatamente: nel curatissimo prato che
degrada lungo il crinale sono disposte alcune delle Regine di
Brizzolesi.
Le sue donne sono sempre Regine anche nella vita?
«Sono vent'anni che creo Regine, le prendo anche come spunto, le
elaboro. La regina inizialmente è nostra madre, poi la nostra donna.
Penso che ogni uomo abbia bisogno di una donna che lo coccoli, che
lo governi. Non in senso servile naturalmente. La donna è più
riflessiva, mi corregge, mi osserva da lontano. Queste donne sono
molto importanti. Guardi anche negli scacchi: la regina si muove
come vuole, è simbolo di potenza. E poi è lei, la donna, che ha la
facoltà di procreare. Ricordo di aver fatto una scultura in cui
c'era un parto da un braccio di una figura femminile, una sorta di
partenogenesi, quasi si fosse fecondata da sola tanto era forte ed
autosufficiente».
E sua madre?
«Per mia mamma è come se fossi ancora il suo bambino, certe volte mi
assilla, però il nostro è un rapporto molto bello».
Le sue giovani donne, scolpite in un bronzo morbido, sembrano quasi
mitizzate, perché tutte le sue Regine hanno un seno solo?
«Quel seno per me più che altro è un simbolo: la continuità della
vita, il bimbo si nutre a un seno solo, da lì succhia il nettare
vitale".
Oggi le Regine sono arricchite con pizzi da cui traspaiono forme
femminili plastiche e immaginifiche. Brizzolesi è un esteta?
«Mi piace della femmina il modo in cui
veste, come si atteggia, nei pizzi le trasparenze sono
importantissime, c'è dentro anche dell'erotismo, non trova?».
Entriamo nella casa. Sembra di essere in un cottage a Cortina. Ampi
spazi, diverse sculture e quadri, legno e ceramica danno subito
calore all'ambiente, al centro un grande camino e in un angolo un
organo.
«Dovevo diventare un musicista, poi la vita mi ha portato altrove,
mi è rimasta però la passione, mi piace suonare».
In un'altra stanza, ordinatamente disposte, diverse opere dello
scultore piacentino: «E' la mia donna (io la chiamo la mia regina,
ma non lo scriva... ) che tiene tutto ordinato con una cura
adamantina».
E' difficile il lavoro di scultore?
«Certamente. Ci sono pittori che fanno quasi un quadro al giorno.
Noi scultori peniamo, è una cosa più sofferta. Una scultura non è
facile né da fare né da collocare. Il nostro lavoro è lungo, va
preparata l'opera con la plastilina, portata in gesso, poi in
bronzo: praticamente siamo degli operai dell'arte».
Lei si divide tra Gropparello e Milano, le pesa questa sorta di
pendolarismo tra la metropoli lombarda e la Valvezzeno?
«Al contrario, mi sembra di essere un eletto. Credo di essere
fortunato perché attraverso la grande città posso partecipare e
vivere gli eventi della cultura. Per vivere devo andare nella grande
città, ho bisogno di vedere le cose importanti che succedono là. E
poi mi sono inserito abbastanza bene nell'ambiente milanese, tutto
questo mi fornisce delle possibilità e degli stimoli in più».
E Gropparello?
«Qui c'è più un contatto con la natura. A Gropparello la campagna
mi da il senso di adagiarmi, mi piace osservare tutto quanto sta
intorno a me. Qui posso immagazzinare le cose, i pensieri che poi
vengono macinati nelle mie sculture. Mi piace osservare bene tutto
quanto mi circonda; secondo me qualsiasi cosa che emerge dal terreno
è una scultura, perché va in verticale!».
Che ricordo ha di un suo compaesano illustre. Bruno Cassinari?
«Era sempre disponibile, ogni volta che esponevo veniva a vedere le
mie mostre. Qui lui viveva come faccio io, si rigenerava: trovava i
suoi coetanei con i quali stava in compagnia, si volevano bene.
Ricordo che quando lo vedevo mi sembrava di vedere, non so, il
Vescovo! Poi siamo diventati amici e di lui mi è rimasto un caro
ricordo».
Si sente più ottimista o pessimista?
«Adesso pessimista, forse sarà anche la situazione generale che
incide, un clima che non porta certo alla serenità. Ci sono periodi
in cui non riesco a creare niente anche se resto in studio. Vede io
sono uno che lavora in continuazione, ho bisogno di fare, ma le
notizie che si leggono sui giornali o che si vedono in tv fanno star
male. Per costruire un'idea ci vuole anche una certa serenità, a
volte però ti prende come un'angoscia. Vorrei dominare questa parte
di me ma non ci riesco, per fortuna poi l'entusiasmo prende il
sopravvento, la voglia di scolpire è la mia carica vitale».
Secondo lei le sue figure femminili vengono dal passato oppure sono
proiettate in un futuro quasi aureo?
«Io modello nel passato però penso che il risultato sia attuale. Per
me la donna è un pretesto per architettarci tutto quello che si
desidera; sulla donna si potrebbero scrivere milioni di pagine, le
osservo, le guardo nei negozi, come si muovono, come si vestono, mi
piace cercare di scoprire come sono fatte dentro, sono un
indagatore».
E le ragazze di oggi?
«Le ragazze che vedo per la strada mi sembra si trascurino. Sembra
quasi facciano apposta per apparire più brutte: scarponi invece di
scarpe snelle con un po’ di tacco, la gamba femminile deve avere una
linea slanciata. Da un punto di vista comportamentale poi è la
ragazza che oggi domina il campo, i ragazzi sembrano quasi succubi.
Ma la cosa che mi disturba di più è il modo di parlare sguaiato, è
una moda, ho l'impressione che queste ragazze facciano quasi fatica
a dire delle parolacce. Mi creda, io lo dicevo già vent'anni fa,
anche se in un'altra ottica, è la donna quella che domina il campo».
Raggiungiamo uno scantinato nel quale sono collocate alcune opere
alle quali lo scultore sta lavorando, sono due figure femminili in
plastilina a grandezza naturale. Una donna seduta, nel silenzio,
quasi assorta, sembra attendere che il suo creatore la nobiliti con
la fusione in bronzo. «Vede, ho bisogno di sviluppare delle idee in
continuazione, lavoro molto, non vado mai al bar, sto in studio
dalla mattina presto alla sera tardi, è come in un cantiere da
muratore, ed è cosi da quando ero un ragazzo. A vent'anni andai in
Venezuela, a Caracas ci sono delle mie sculture. Rimasi in
Sudamerica per due anni, poi nel '63 sbarcai a Milano, e da allora
vivo questa doppia, realtà metropolitana e paesana».
Che cosa le piace di più del suo paese e che cosa vorrebbe
cancellare?
«Risponderò prima alla seconda domanda, io a Gropparello ci sto bene
e devo dire che non cancellerei proprio niente. Del mio paese mi
piace soprattutto la pulizia. Lo amo tanto perche è bel pulito. In
questi ultimi tempi anche Piacenza ha un aspetto più decoroso,
ordinata, bei giardini, un arredo urbano piacevole, fioriere e spazi
verdi più curati; Milano invece è una città sporca, ad eccezione del
centro, che è pulito, fuori c'è sporco, trascuratezza».
«Adesso vorrei farle io una domanda - ci sorprende Brizzolesi
-Secondo lei per me Milano è una propaggine di Gropparello o
Gropparello una propaggine di Milano»?
Ci pensa un attimo e poi prosegue: «Milano e Gropparello sono per me
un tutt'uno. Mi piace legare insieme tutte e due queste mie realtà,
come se questa casa fosse a Milano, in pratica vivo l'immediatezza
delle mostre e dei convegni meneghini partendo da qui».
Quasi imbarazzato dal doversi raccontare Brizzolesi accoglie con un
sospiro liberatorio la fine del nostro colloquio. Ma quando
l'incontro sta per concludersi una cartella appoggiata su un tavolo
mettere in risalto un suo aspetto nascosto: il suo amore per il
disegno. Quando non lavora alle sue sculture Brizzolesi prende in
mano colori e ampi fogli e dipinge, usando gli stessi cromatismi che
si possono ammirare nelle sue ceramiche: «Disegno come un diavolo,
mi piace molto, però i disegni per ora me li tengo per me, in futuro
si vedrà...».
Eppure alla base del lavoro di un artista lo sfogo di un segno su un
pezzo di carta resta la prova inconfutabile di un amore sincero per
il proprio lavoro e di una padronanza del mezzo e-spressivo.
«Credo che il disegno sia la partenza per realizzare la scultura, mi
piace molto il colore, mi piacciono gli accostamenti di colore,
amavo molto in Cassinari i suoi accostamenti, aveva dei rosa
stupendi, mai più visti di così belli. Socchiuda gli occhi - mi
dice, e con la mente ormai Brizzolesi è chissà dove - se socchiude
gli occhi vedrà che i colori escono, la profondità, il rilievo, si
animano e il disegno si stacca dal foglio... » |
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