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SERGIO BRIZZOLESI
scultore
Giorgio Seveso
(Catalogo Mondadori Arte, Torino / 2005)
Tra gli scultori d’immagine, il
piacentino Sergio Brizzolesi è tra quelli che più di altri tengono
oggi ben ferma la determinazione a non lasciarsi distrarre, a non
farsi sedurre dalle chimere delle mode e dell’attualità o, meglio,
dell’attualismo. Non gli interessano le tendenze esclusivamente
legate alla forma o ai materiali, non s’è mai fatto catturare dalle
fredde iperboli del concettuale. Perchè l’impulso che ormai da molti
anni caratterizza il suo lavoro è un impulso esclusivamente
figurale, lirico e onirico insieme, che diventa, tra le sue mani,
una morbida sintesi, una summa fascinante e misteriosa
dell’esistere, delle sue emozioni e delle sue ragioni.
Scultore, dunque, risolutamente figurativo, Brizzolesi non si è mai
fermato però alla pura mimesi del reale. Il modello, la riproduzione
del vero sono anzi per lui solo un punto di partenza. A volte
ambiguamente sensuale e gentile, come nelle sue famose figure
femminili, le “Regine”; a volte più solenne e classicamente
monumentale, come per le importanti sculture pubbliche collocate in
diverse città italiane. Un punto di partenza che potrei definire
anche un pretesto lirico, che vive come innesco di ogni risorsa e di
ogni intensità di trasfigurazione verso un esito che ha tutta
l’autonomia di un gesto poetico. Ed è proprio il carattere di questa
sua risoluta, sognante indipendenza dalla naturalità del reale a
rivelare la sostanza più autentica del suo talento, che si gioca in
definitiva sui termini di un singolarissimo rapporto tra l’immagine
e le sue valenze sentimentali. Al punto che l’immagine stessa, pur
restando fortemente iconica, diviene quasi astratta, forma
contaminata dai suoi valori di simbolo.
Per tornare alle sue “Regine”, esse hanno infatti in prima battuta
tutto il sapore turgido e la tenerezza appassionata dell’eros più
esplicito o, se volete, di un erotismo fortemente liricizzato,
metaforizzato, intimamente allusivo ad una simultaneità di sensi, di
ambiguità, di fascini intriganti, di languori e di asprezze che
illuminano in maniera sempre sfuggente ed interrogante il corpo
femminile, il suo mistero tanto eterno e maliardo quanto familiare e
contingente. Ma possiedono anche, appunto, tutta la fisicità e la
corposità di donne sognate e sognanti, figure sospese come per un
incantamento che ne trasporta le sembianze, le vesti, i gesti verso
una dimensione altra, verso una realtà diversa da quella della
“semplice” naturalità. Fuori dal tempo, così come fuori da un luogo
o da un’epoca precisi, queste figure maestose e insieme affabili
rappresentano una stilizzazione di intensa sensibilità espressiva,
giocata su una sorta di arcaismo e di classicismo ricavati dalle più
segrete pieghe della memoria. Riferimenti non certo vissuti sulle
ragioni del gusto o di un citazionismo fatuo e di maniera, quanto
invece intessuti di autentica passione per gli antichi maestri e per
la grande scultura d’ogni tempo.
Arcaismo e, soprattutto, classicità sono dunque il territorio
formale dal quale il linguaggio plastico di Brizzolesi muove per
questo suo viaggio straordinario tra donne fiorite e gentilissime
amazzoni, tra forme arabescate e struggenti armonie di gesti e di
posture.
È una sintesi, dicevo, antica e insieme attualissima, di una visione
plastica che nasce sull’asse del più contemporaneo dibattito sui
problemi artistici, capace però di tenere al centro dell’attenzione
e della tensione creativa il pensiero della tradizione nei suoi
migliori valori.
I tratti della scultura di questi anni, come sappiamo, sono certo
molteplici, ognuno con la propria dimensione e specificità. Il
lavoro di questo artista, nella sua schiva continuità che è preziosa
anche perché volutamente e coraggiosamente solitaria, nutrita
soltanto delle proprie intime ragioni, dimostra oggi con forza come
la vitalità dell’immagine giunge sempre a sopravvivere, a durare e
ad affermarsi rispetto ad ogni moda, ad ogni supponenza o snobismo
culturali. Nel nome, appunto, del talento vero: della verità della
scultura |
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