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SERGIO BRIZZOLESI
scultore
Giorgio Seveso
(Rivista "Archivio" / Mantova / 2003)
Sergio Brizzolesi e il Sant’Antonino di
Piacenza
Il nuovo, grande monumento che adorna
Piacenza in piazzale di Barriera Genova ha, tra le sue qualità, una
caratteristica che va subito segnalata. E cioè quella di essere
figurativo e, appunto, “monumentale” senza apparire per questo meno
contemporaneo, meno plasticamente fresco e, soprattutto,
antiretorico. Sergio Brizzolesi infatti, immaginando e realizzando
la figura di Sant’Antonino, protettore di Piacenza, ha saputo per
l’occasione coniugare tra loro con naturalezza termini che poteva
sembrare difficile tenere assieme. Lo scultore piacentino è riuscito
infatti a rispettare in tutto e per tutto la “classicità”, diciamo
così tradizionale e religiosa, di un monumento che in definitiva era
e resta di argomento sacro, cioè ricavato dai canoni di una visione
che risale agli albori del medioevo, sospesa tra realtà e leggenda
ma resa ancora vivida dalla fede dei devoti. E dunque ecco, per
questo, la ieraticità solenne che percorre l’imponente guerriero e
martire, in una posa marziale e insieme raccolta, soldato romano ma
anche vero Santo cristiano che alza il suo vessillo, già pronto ad
immolarsi per non dovere rinnegare il suo Dio e il suo battesimo.
Ma ecco, anche, un giovane uomo vigoroso, di robusta e insieme
armoniosa complessione, che guarda fieramente dritto davanti a sé
verso il proprio destino, nei tratti di una espressione concreta di
affermazione volitiva e, dunque, ben lontano dagli occhi al cielo di
languide rappresentazioni di martirio e di martiri, intrise di
patetismo e di retorica.
Brizzolesi, insomma, è riuscito a introdurre in questa sua scultura
due diverse “anime”, facendole convivere senza contraddizioni
plastiche e senza macchinosità compositive, con l’apparente
leggerezza sorgiva dell’intuizione fatta di senso dell’impulso, di
freschezza d’invenzione, di suggestione anatomica nella pienezza e
nell’energia della forma. È riuscito a trovare un compendio, una
sintesi di atmosfera, un “tono” della concezione figurale e
dell’invenzione formale capace di parlare a molte e diverse
sensibilità, capace di farsi intendere - dunque - sia sotto il
profilo di un impatto di suggestioni devozionali che sotto quello
dell’evocazione di valori laici e umanistici più generali, cioè
sotto un profilo apertamente, modernamente civile.
Narrano le antiche cronache che Antonino, battezzato cristiano, fu
soldato romano al tempo di Diocleziano e che, attorno all’anno 303,
pagò con il martirio nell’agro piacentino il rifiuto di rinunciare
al cristianesimo che l’Imperatore pretendeva dai suoi legionari.
Apparve, poi, in sogno al vescovo di Piacenza, Savino, chiedendo che
le sue spoglie mortali venissero trasferite in città, diventandone
da allora il Santo protettore. E dunque ecco che, come figura sacra
ma anche come simbolo di una identità e unità civica, Sant’Antonino
è emblema di una varietà di ideali e significati complessi,
diversi, che il talento e l’istinto poetico di Brizzolesi hanno
subito colto nelle sue potenzialità significative.
Del resto, la genesi stessa del monumento ha già, fino dalla prima
idea iniziale, quel segno di convergenza tra diversità, quello
stesso “destino” pluralistico che lo scultore ha poi tradotto in
figura. Si è trattato, infatti, a decidere e finanziare
l’iniziativa, di un insolito concorso di buone volontà cittadine,
che in occasione del passaggio del millennio e del Giubileo hanno
trovato il modo di operare tutte insieme, a dimensione sia privata
che pubblica, per il comune fine di commissionare e realizzare il
monumento. Pur con le loro differenze di visione e natura, infatti,
i vari club dei Rotary e dei Lions hanno lavorato in sintonia con il
Comune, con la Provincia, con la Diocesi, con il contributo di
Fondazioni e Istituti privati e pubblici di Piacenza, arrivando a
superare gli ostacoli e a raggiungere, finalmente, il risultato.
Oggi, dicevo, il bel monumento di Sergio Brizzolesi è uno dei “segni
forti” della città. La fonderia d’arte di Piero Mussi, piacentino
che opera ormai da molti anni a Berkeley in California con la sua
“Artworks Foundry”, ha contribuito in maniera decisiva, fondendo
gratuitamente il colosso che - ricordiamolo - ha un’altezza di
quattro metri per un peso di venti quintali di bronzo, collocato su
una base alta a sua volta quasi tre metri e mossa da un intelligente
meccanismo di rotazione.
Ma chi è Sergio Brizzolesi? Tra gli scultori d'immagine, oggi,
l’artista piacentino è tra quelli che più di altri tengono ben ferma
la determinazione a non lasciarsi distrarre, a non farsi sedurre
dalle chimere delle mode e dell'attualità o, meglio,
dell'attualismo. Non gli interessano le tendenze esclusivamente
legate alla forma o ai materiali, non s'è mai fatto catturare dalle
fredde iperboli del concettuale. L'impulso che ormai da molti anni
caratterizza il suo lavoro è invece un impulso esclusivo, lirico e
onirico insieme, verso la figura, che diventa, tra le sue mani, una
morbida sintesi, una summa fascinante e misteriosa dell'esistere,
delle sue emozioni e delle sue ragioni.
Scultore, dunque, risolutamente figurativo, Brizzolesi non si è mai
fermato però alla pura mimesi del reale. Il modello, il tema per
lui sono anzi solo un punto di partenza. A volte ambiguamente
sensuale e gentile, come nelle sue famose figure femminili, le
“Regine”; a volte più solenne e classicamente monumentale, come per
le importanti sculture pubbliche collocate in diverse città italiane
e come, appunto, per quest’ultimo grande, imponente Sant’Antonino.
Un punto di partenza che potrei definire anche un pretesto lirico,
che vive come innesco di ogni risorsa e di ogni intensità di
trasfigurazione verso un esito che ha tutta l'autonomia di un gesto
poetico. Ed è proprio il carattere di questa sua risoluta, sognante
autonomia dalla naturalità del reale a rivelare la sostanza più
autentica e palpitante del suo talento, che si gioca in definitiva
sui termini di un singolarissimo rapporto tra l'immagine e le sue
valenze sentimentali. Al punto che l'immagine stessa, pur restando
fortemente iconica, diviene quasi astratta, forma contaminata dai
suoi valori di simbolo.
Per tornare alle sue “Regine”, esse hanno infatti in prima battuta
tutto il sapore turgido e la tenerezza appassionata dell'eros più
esplicito o, se volete, di un erotismo fortemente liricizzato,
metaforizzato, intimamente allusivo ad una simultaneità di aspetti,
di spessori, di ambiguità, di fascini intriganti, di tenerezze, di
languori e di asprezze che illuminano di una luce sempre sfuggente
ed interrogante il corpo femminile, il suo mistero tanto eterno e
maliardo quanto familiare e contingente. Ma possiedono anche,
appunto, tutta la fisicità e la corposità di donne sognate e
sognanti, figure sospese come per un incantamento che ne trasporta
le sembianze, le vesti, i copricapo, i gesti verso una dimensione
altra, verso una realtà diversa da quella della "semplice"
naturalità. Fuori dal tempo, così come fuori da un luogo o da
un'epoca precisi, queste figure maestose e insieme affabili
rappresentano una stilizzazione di intensa sensibilità espressiva,
giocata su una sorta di arcaismo e di classicismo ricavati dalle più
segrete pieghe della memoria. Riferimenti non certo vissuti sulle
ragioni del gusto o del fatuo citazionismo oggi così di moda, quanto
invece intessuti di autentica passione per gli antichi maestri e
per la grande scultura d'ogni tempo.
Arcaismo e, soprattutto, classicità sono dunque il territorio
formale dal quale il linguaggio plastico di Brizzolesi muove per
questo suo viaggio straordinario tra donne fiorite e gentilissime
amazzoni, tra forme arabescate e struggenti armonie di gesti e di
posture, che oggi ha trovato una sua sintesi nell’esplicita
monumentalità di una figura così suggestiva e risolta come questa.
È una sintesi, dicevo, antica e insieme attualissima, di una visione
plastica che nasce sull'asse del più contemporaneo dibattito sui
problemi artistici, capace però di tenere al centro dell’attenzione
e della tensione creativa il pensiero della tradizione nei suoi
migliori valori.
I tratti della scultura contemporanea sono certo molteplici, ognuno
con la propria dimensione e specificità. Il lavoro di questo
artista, nella sua schiva continuità che è preziosa anche perché
volutamente e coraggiosamente solitaria, nutrita soltanto delle
proprie intime ragioni, dimostra oggi con forza come la vitalità
dell'immagine giunge sempre a sopravvivere, a durare e ad
affermarsi rispetto ad ogni moda, ad ogni supponenza o snobismo
culturali. Nel nome, appunto, del talento vero: della verità della
scultura. |
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