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SERGIO BRIZZOLESI
note per una biografia
(di Stefano Fugazza)
Come spesso succede, il contesto in cui Sergio Brizzolesi nasce, di
per sé, non lo predispone alla pratica artistica. È vero che la
madre fa la sarta e il padre, originario di Vigolo Marchese, fa il
costruttore e il riparatore di biciclette e mettono nel loro
mestiere un'inventiva che rende più creativo e stimolante il loro
lavoro, però il figlio che cresce sullo sfondo delle colline di
Gropparello sarebbe stato
naturalmente destinato ad altro. Ma a valle di Gropparello c'era una
fabbrica di mattoni e dunque una disponibilità di creta, con cui il
giovane Brizzolesi modellava le sue prime sculture. Gli piaceva
anche disegnare sui marciapiedi, servendosi di gessetti; guardava le
persone che passavano, ne tracciava i contorni stilizzati. Gli
piaceva anche la musica, allora; aveva una fisarmonica e sognava di
diventare musicista. Per più ragioni provava in sé una certa
estraneità rispetto ai suoi coetanei, anche perché si sentiva
continuamente trascinato dall'immaginazione: guardava un pezzo di
legno e ci vedeva qualcos'altro, in un sasso riconosceva una figura
e così via.
Le immagini entravano nella sua mente e si sedimentavano; al momento
opportuno, da loro nascevano disegni, bozzetti, realizzati di getto
uno dopo l'altro, quasi per generazione spontanea, con una sorta
di immediatezza, che tuttavia presupponeva la precedente
elaborazione mentale. Fu naturale prendere contatto con l'Istituto
d'Arte di Piacenza, il Gazzola, dove Brizzolesi seguì per qualche
anno, in maniera piuttosto libera, gli insegnamenti, prima di tutto,
dello scultore Vittore Callegari, di cui divenne allievo prediletto,
e poi del pittore Umberto Concerti. Compagni di studio erano allora,
tra gli altri, Francesco Ferrari, Romano Tagliaferri, Giuseppe
Serafini, Gaby Pizzi, Bruno Grassi, Carlo Berté e tanti altri.
Al Gazzola Brizzolesi conobbe anche Giovanni Marchini1, che
faceva un po' l'insegnante: fu lui che, verso la metà degli anni
Cinquanta, recatosi in Venezuela a lavorare come scultore, lo chiamò
a collaborare per alcune impegnative commesse.
Si apre così un
periodo venezuelano, durato circa tre anni: Brizzolesi lavorò a
Caracas dove, per la cattedrale di San Pietro, modellò i volti dei
quattro evangelisti. Con
gli scultori Daini, Dazzi, Soto e altri colleghi Brizzolesi realizzò
i giardini di Caracas, denominati Sproceres (scuole
militari). Gli anni a Caracas non furono facili, segnati anche da
fatiche fisiche non prive di strascichi, per cui, al rientro in
patria, Brizzolesi fu costretto a passare un certo tempo in una casa
di cura a Sondrio. Data a questo periodo l'approfondimento
dell'opera di Alberto Giacometti, che non manca di suggestionare
Brizzolesi, autore allora di sculture connotate da un linguaggio
spoglio e scabro, sentito come ideale per esprimere una visione
sofferta, colma di presentimenti drammatici.
È poi dei primi anni
Sessanta il trasferimento a Milano2, la metropoli allora
in pieno boom economico e in grande fermento culturale. L'ancor
giovane artista si integrò bene nell'ambiente pulsante di vita della
grande città, da lui apprezzato per le opportunità anche culturali
che offriva ma del resto non idolatrato, perché a Brizzolesi manca
la dimensione del provinciale inurbato che stravede per le
meraviglie della metropoli.
A Milano egli completò la sua formazione
seguendo a Brera la scuola di disegno di Gino Moro e poté
frequentare con una certa assiduità figure di primo piano come i
pittori Bruno Cassinari ed Ernesto Treccani.
Vivere e lavorare a Milano non significa interrompere i rapporti con
la terra natale, con Gropparello (che continuava a esercitare
un'attrazione irresistibile ad esempio su Bruno Cassinari, il quale
vi si rifugiava spesso come a un porto di quiete e di recupero di
una perduta identità) e con Piacenza. Nella città emiliana
Brizzolesi continuò a frequentare vari artisti, in specie alcuni
esponenti della cosiddetta scuola di Piacenza come Gustavo Foppiani,
Cinello, Armodio, Sichel e Xerra.
Ma intanto il linguaggio di Brizzolesi era cambiato. Abbandonate le
drammatiche stilizzazioni di pochi anni prima, egli concepì la sua
scultura in una prospettiva più pacata e contemplativa, per cui le
forme si arrotondano e le superfici, amorosamente delineate, si
fanno più ampie. Dai primi anni Settanta la donna divenne il tema
pressoché esclusivo dello scultore, una donna agghindata,
consapevole del suo fascino, maestosa come una regina.
E Regine difatti si intitolano le sue sculture, realizzate
preferibilmente nel bronzo, talora anche in ceramica. Sono creature
lontane dalla terra e dagli affanni quotidiani, come si addice a
delle Regine; i loro abiti sontuosi, a volte spigolosi come
armature, sono impreziositi da innumerevoli ornamenti, cesellati
come da un orafo raffinato, mentre i volti (e anche i seni, spesso
un unico seno, allusivo forse alla maternità) sono trattati in
maniera diversa, allisciati e ben definiti. Brizzolesi, memore delle
gigantesche sculture cui si dedicava in gioventù a Caracas, per le
chiese e per edifici governativi, aspira al fare grande, al
monumentale. Sono ormai numerose le opere collocate in spazi
pubblici in diverse località come: i Busti del Re del Marocco
a Rabat e uno stemma reale per conto del governo del Marocco del
1976-77, il monumento a Padre Pio a Bari del 1978-79, quello ai
caduti a Gropparello (Piacenza) del 1978, il monumento alla
Resistenza a Fiorenzuola (Piacenza) del 1986, quello a Matilde di
Canossa a Quattro Castella (Reggio Emilia) del 1991. A Piacenza è di
Brizzolesi il Sant'Antonino in bronzo realizzato nel 2001 per
ricordare il Giubileo dell'anno precedente3 e a Monte Penice (Piacenza) il ritratto in bronzo del Senatore Emilio Taviani
nel 2003.
In ogni caso, si può dire che l'artista abbia lavorato, dagli anni
Settanta, secondo criteri di grande coerenza, puntando molto anche
sulle risorse del mestiere e concedendo poco a problematiche di tipo
teorico, viste con un certo sospetto se messe a confronto con le
esigenze che derivano dall'uso stesso dei materiali (il bronzo
continua ad essere prediletto) e con le scelte linguistiche di base.
Note
1. Su questa figura, importante nel percorso biografico e artistico
di Brizzolesi, si veda Stefano Fugazza, Riscoperte: Giovanni
Marchini, in "Piacentini", n. 1, primavera 1999, pp. 69-72.
2. Per il rapporto tra lo scultore e Milano si veda quanto egli
stesso afferma nell'intervista che gli fa Carlo Francou: "Per vivere
devo andare nella grande città, ho bisogno di vedere le cose
importanti che succedono. E poi mi sono inserito abbastanza bene
nell'ambiente milanese, tutto questo mi fornisce delle possibilità e
degli stimoli in più" (Carlo Francou, Nei laboratori dell'Arte.
Incontri con gli artisti piacentini, I, Piacenza, Tep, s.a., p.
51).
3. Si veda Giuseppe Carella, Breve storia di una presunzione,
in Antonino di Piacenza, a cura di Domenico Ponzini,
Piacenza, Tip.Le.Co., 2001, pp. 242-252.
Un momento dell'inaugurazione della mostra "Le Regine" a
Piacenza, Palazzo Farnese, aprile 2007. Da sinistra Brizzolesi , Giorgio Seveso,
l'assessore alla cultura Dosi, Stefano Fugazza e Rossana Bossaglia |
Sergio Brizzolesi è nato a Gropparello (Piacenza) nel 1933,
dove attualmente è tornato a vivere e lavorare.
Sergio Brizzolesi mentre lavora
allo stemma papale nella chiesa Pietro e Paolo di Caracas nel 1957
Sergio Brizzolesi con Bruno
Cassinari all'Osteria della Vittorina, a Gropparello verso la fine
degli anni 50
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